Castelfranco Piandiscò
Abbazia di San Salvatore a Soffena
Entrando, sulla destra c’è una Madonna con Bambino con i SS. Pietro e Francesco attribuita a Paolo di Stefano Badaloni, detto Paolo Schiavo. Segue l’Annunciazione attribuita al Maestro del Cassone Adimari. Nel transetto, a destra, la grande Strage degli Innocenti colpisce per la drammaticità della rappresentazione. Generalmente attribuita a Liberato da Rieti, di recente è stata riferita a un pittore di ambito fiorentino, il Maestro di Bibbiena, così detto per il trittico che là dipinse e che è servito da termine di confronto per l’attribuzione sia della Strage degli Innocenti sia della sottostante Visitazione.
Quest’ultima, stilisticamente più matura, fu eseguita in un periodo vicino a quella di Bibbiena (1425-1430 circa) (Donati).
Dietro l’Altare, la Madonna in trono con il Bambino con i SS. Lazzaro e Michele Arcangelo, in stile ancora goticheggiante ma con tentativo di collocazione prospettica, è attribuita a Mariotto di Cristofano, cognato di Masaccio e dello Scheggia. Sulla sinistra vediamo nel registro superiore un’ Annunciazione e in quello inferiore la Madonna della Misericordia.
Di fronte alla Madonna con Bambino con i SS. Pietro e Francesco di Paolo Schiavo, Bicci di Lorenzo affrescò San Giovanni Gualberto, fondatore dell’Ordine Vallombrosano, con scene della vita del Santo.
INFORMAZIONI
Ingresso Gratuito
ORARIO DI APERTURA
Lunedì, mercoledì, venerdì dalle 13:00 alle 19:00
Martedì, giovedì, sabato dalle 8:00 alle 14:00
GIORNI DI CHIUSURA
Il 2° e 4° lunedì del mese e 1° e 3° domenica del mese
Il 1 gennaio, 1 maggio e 25 dicembre
CONTATTI
Per prenotazioni ed informazioni:
dal lunedì al venerdì 8:00 – 13:00
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Centro storico di Castelfranco di Sopra
La denominazione ha origine dal rapporto con la Repubblica fiorentina, che nel 1299 fondò questa “Terra Nuova” quale avamposto a scopi difensivi. Il borgo sorge su una terrazza naturale dell’altopiano valdarnese che domina le balze ai piedi del Pratomagno. Caratteristica la regolarità dell’impianto, con le vie ortogonali come nel castrum romano; al centro è la grande piazza, sulla quale si affacciavano gli edifici più rappresentativi del potere politico e della sfera spirituale, il palazzo del podestà e la chiesa di San Pietro.
Percorrendo via Arnolfo si può ammirare un tratto della cerchia, con i suoi beccatelli a sostegno del camminamento di ronda. Da questa prospettiva si gode lo scorcio suggestivo della torre di Porta Campana, detta anche Fiorentina, o dell’Orologio, o più comunemente Torre d’Arnolfo, che porta scolpito il giglio di Firenze e la data 1300, inizio della sua costruzione.
La porta venne realizzata – in proporzioni ridotte – secondo il disegno di quelle coeve della cinta muraria fiorentina. Oltre alla Porta Fiorentina ci è giunta – anche se priva della parte superiore abbattuta nel 1770 e molto rimaneggiata – la Porta Aretina, detta anche Porta Franca o Porta del Pino; di essa restano una feritoia e un arco in mattoni sorretto da mensole di pietra; mentre Porta Buia (sul lato nord-ovest) e Porta Montanina (sul lato nord-est) furono demolite rispettivamente nel 1858-59 e nel 1867.
La più antica rappresentazione dell’intera città è del 1585 e si trova tra le Piante di Popoli e Strade all’Archivio dei Capitani di Parte Guelfa a Firenze: piante realizzate su richiesta del granduca Francesco I de’ Medici per una mappatura sistematica delle strade del Granducato di Toscana, utilissime per ricostruire l’antica topografia.
La Pieve di Santa Maria a Scò
Citata per la prima volta nel 1008 nell’atto di donazione con cui gli Ubertini, potente casato aretino, concessero alcuni poderi all’abbazia di Santa Trinità in Alpe in Pratomagno, l’antica e maestosa pieve romanica di Santa Maria a Scò sorge lungo la suggestiva via dei Setteponti essa è una delle più arcaiche del territorio, la cui magnificenza è il frutto di costruzioni, espansioni e miglioramenti che nel corso del tempo si sono susseguite; essa infatti sorge su antichi insediamenti romani e probabilmente anche etruschi: un originario piccolo edificio d’epoca longobarda del VI secolo venne ampliato durante i secoli VIII e IX e nel secolo XII fu costruita la solida ed elegante struttura in pietra che rispecchia la forma attuale.
Il frontespizio della struttura è decorata da cinque arcate cieche con lunghe lesene che corrono parallele fino al basso e dal filaretto in pietra quadrangolare; essa inoltre è composta da lapidei regolari.
L’interno si sviluppa su tre navate e termina con gruppi absidi, con monofore chiuse da lastre di alabastro.
Nel suo interno è quasi possibile palpare tutta la sensazione di pace e sacralità, dove aleggia un solenne silenzio interrotto solo dal bisbiglio delle preghiere.
L’interno è suddiviso da pilastri e colonne monolitiche sormontate dalla copertura a capriate, che canalizzano l’attenzione verso un affresco di indubbia bellezza, raffigurante la Madonna in trono con Bambino; il dipinto viene attribuito a Paolo Schiavo (della metà del sec. XV). L’interno della pieve è inoltre impreziosito da capitelli romanici, di notevole bellezza, scolpiti ad altorilievo in pietra serena, risalenti al XII secolo.
Nel 1862 in seguito ai danni causati da un fulmine, il campanile fu ristrutturato, portando alla luce tutta la sua magnificenza e la struttura intera rialzata e impreziosita dal tetto a guglia piramidale sormontato dal parafulmine.
CONTATTI
SP85, 52026 Pian di Scò (AR)
Parrocchia
Tel. 055 960133
Le Balze
Questo maestoso scenario naturale si è formato in un periodo geologico abbastanza recente: dal Pliocene superiore al Pleistocene, cioè da circa tre milioni a centomila anni fa. All’inizio del processo, il sollevamento delle catene del Pratomagno e del Chianti dette origine dapprima ad una depressione nella zona occidentale (tra l’attuale territorio di Cavriglia e Figline) e poi, per uno sprofondamento di origine tettonica verso est, ad una estesa conca di circa 40 km di lunghezza per 10 di larghezza, la quale fu riempita in breve dalle acque meteoriche che determinarono la formazione di un grande lago. Progressivamente poi il bacino fu colmato dai detriti di disgregamento delle rocce trascinati a valle dai torrenti: quelli più grossolani si depositarono presso le rive, dando origine a vasti conoidi di deiezione; i più leggeri riuscirono invece a raggiungere il centro del lago.
La diversità fra gli strati di accumulo, in cui prevalgono i ciottoli, la ghiaia, la sabbia, il limo o l’argilla, rivela che nel corso del tempo sono intervenuti nel territorio cambiamenti climatici di notevole entità; nel Pliocene il clima era molto più caldo dell’attuale e l’ambiente somigliava a quello tropicale o subtropicale odierno; lo testimoniano i numerosi reperti fossili di animali (elefanti, rinoceronti, ippopotami, tigri dal dente a sciabola, iene) oppure le conchiglie dei molluschi di acqua dolce e i vegetali carbonizzati, tipo la sequoia o il cinnamomo.
Il bacino del Valdarno superiore andò progressivamente riempiendosi di depositi e quando questi, centomila anni fa, raggiunsero la quota di circa 300 metri slm, le acque del lago tracimando lo abbassarono in tempi abbastanza rapidi e defluirono verso la piana fiorentina lasciando emersi gran parte dei sedimenti.
L’antico fondo del lago è stato sottoposto all’azione disgregatrice della natura, lenta ma costante, che ha dato origine al caratteristico paesaggio dei calanchi e delle Balze valdarnesi. Qui le bellezze naturali offrono grandi emozioni. Percorrere a piedi o a cavallo una delle valli che si insinuano fra le alte e scoscese pareti delle Balze permette di immergersi in un’atmosfera fiabesca e misteriosa, per la quale già gli antichi inventarono nomi come “Casa delle Fate”, “Paradiso”, “Purgatorio” o “Inferno”.