La coltivazione del giaggiolo (nome latino Iris pallida) è una delle attività agricole tradizionali che ancora resistono nel territorio di Castelfranco Piandiscò e che coinvolge intere famiglie, ma specialmente gli anziani, che a volte, anche lungo la Setteponti, si possono vedere seduti e intenti a “mondare” i rizomi della pianta.
La fioritura avviene nel mese di maggio, quando il paesaggio della campagna improvvisamente si riempie di chiazze di colore che vanno dal viola pallido al blu. Il raccolto inizia dopo la sfioritura delle piante con due-tre anni di vita. La parte importante che possiede anche qualità medicinali – contiene una sostanza espettorante, utilizzata in fitoterapia per curare asma e bronchite – è il rizoma, la porzione sottoterra del fusto, lunga un pollice e di colore biancastro simile alla radice.
Una volta “svelto”, questo viene privato dei fili radicolari con la “sbarbucciatura” e infine “mondato”, cioè decorticato, con un particolare coltello dalla lama ricurva detto “roncolino”. Il rizoma privato del tegumento prende il nome di “gallozza” o “gallozzola”. Le gallozze vengono nuovamente distese al sole, affinché la loro essiccazione avvenga in modo lento e soprattutto naturale, e poi vengono conservate in locali freschi e asciutti. Negli ultimi anni tuttavia si è sempre più sviluppato il sistema del “giaggiolo in buccia”, cioè non si procede più alla mondatura ma lo si affetta in strisce sottili. Durante il periodo di essiccamento, le gallozze producono una sostanza chiamata “irone“, ricercatissima dalle più importanti case produttrici di cosmetici come base per la creazione di costosi profumi.
Vale la pena soffermarsi tra i pianelli e le terrazze che salgono verso la frazione di Caspri e Pulicciano per poter ancora oggi assistere al perpetuarsi di un’antica tradizione del mondo agricolo toscano.